Londonderry

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Friday, October 22, 2010

«Il negazionismo? Squallido Ma non si batte con una legge»



HOWARD JACOBSON. A colloquio con lo scrittore britannico, fresco vincitore del Booker con “The Finkler Question”. «Certa sinistra demonizza Israele. Ma gli ebrei vogliono solo la pace».


Howard Jacobson doveva essere a Roma la settimana scorsa per il Festival della letteratura ebraica. Poi però la seriosa giuria del Booker Prize ha deciso di premiare, a sorpresa, il rigoglioso humour del suo ultimo The Finkler Question e così ha dovuto rinunciare al suo italienische Reise. In un Paese che, ha brevissimamente dichiarato lo stesso Jacobson a caldo al Corriere della Sera, «gli ha portato fortuna. Cargo (l’editore italiano, ndr) è stato il mio talismano: proprio l'Italia è stato il primo Paese straniero che ha comprato i diritti di Kalooki Nights (altro suo romanzo, ndr)».
Poco male, a dicembre arriverà finalmente in Italia. Ma prima, lo scrittore britannico di origine ebraica, nonché editorialista dell’Independent, si è concesso con più calma al Riformista. In Italia è da pochi giorni in libreria il suo ultimo romanzo tradotto Un amore perfetto. Opera che, dopo l’irresistibile e Imbattibile Walzer (tutti targati Cargo), «racconta in maniera formidabile il tormento sessuale» (nobel Harold Pinter dixit) di uno stimato ma lussurioso libraio. Invece, nel più glorioso The Finkler Question (Bloomsbury, 307 pp., £ 18,99, arriverà in Italia nel luglio 2011), i protagonisti sono tre amici: Julian Treslove, ex produttore Bbc, un romantico fallito su cui ruota la narrazione; e poi Sam Finkler e Libor Sevcik, entrambi ebrei e vedovi, ma su posizioni contundenti su cosa significhi essere ebrei oggi alla luce delle politiche di Israele. Treslove, da insipido “gentile”, aspira a essere ebreo e partecipa allo spigoloso ma frizzante dibattito degli altri due, in una travolgente burrasca di humour a tinte inquiete.
«Difatti, The Finkler Question, nonostante molti dicano sia un romanzo comico, è anche un libro molto triste, una black comedy», puntualizza Jacobson. Eppure, gli scrittori britannici di origine ebraica una volta si nascondevano, «si travestivano da inglesi», disse lo scrittore tempo fa. Oggi non è più così. Una nuova alba, per scomodare Eli Wiesel, sta nascendo. Anthony Julius (l’avvocato del divorzio di Lady Diana) aveva già lanciato nei mesi scorsi il velenoso sassolone del suo Trials Of The Diaspora che indaga l’antisemitismo strisciante nella Gran Bretagna di oggi. «Verissimo, ma non è il solo», sostiene Jacobson. «Sta finalmente emergendo una nuova generazione di scrittori ebraici, vedi Linda Grant e Andrew Miller, meno introversa e più orgogliosa. E The Finkler Question aiuterà sicuramente questa emancipazione». Cosa è cambiato negli ultimi mesi? «Nel 2009 la comunità ebraica, dopo i fatti di Gaza e la demonizzazione di Israele propagata dai media britannici, aveva molta più paura di esprimersi. Ma una cosa è il sacrosanto diritto di critica, un’altra è mistificare le notizie e affibbiare così a Israele un’immagine falsa. Adesso, però, ci siamo stufati e, grazie alla meno rovente situazione in Medio Oriente, stiamo uscendo dal guscio».
Sugli attacchi mediatici anti Israele, Jacobson - nato in una famiglia molto left (il padre era un acceso sindacalista) ma curioso di vedere cosa farà Cameron («anche se alcuni aspetti della sua Big Society sono crudeli») -, ha le idee molto chiare: «Tutte queste mistificazioni vengono propagate dai media britannici liberal e da certe cerchie intellettuali. Qui purtroppo la sinistra, dopo la caduta del Muro e del comunismo, ha sempre avuto il complesso di Israele in quanto nuova valvola di sfogo politico. Ma, checché se ne dica», prosegue Jacobson, «la stragrande maggioranza degli ebrei d’Inghilterra, nonostante gli attacchi, è moderata. Sa che l'antisionismo non corrisponde all'antisemitismo, ma sa anche che dal primo può nascere il secondo».
Jacobson si è definito in passato “sionista liberale” e favorevole a due stati in Medio Oriente. Oggi, a processo di pace innescato dall’amministrazione Obama, non trasuda ottimismo («sappiamo come è andata a finire le scorse volte»). Ma sa che Israele ha una sola via d’uscita: «Tutti gli israeliani vogliono la pace. E credono, anche i più rigorosi, che l’unica soluzione sia rinunciare alla politica degli insediamenti in Cisgiordania, alla quale sono personalmente contrario, e aprire alle concessioni. Anche il premier Netanyahu ne è convinto, ma per andare avanti nel processo di pace dovrà concedere qualcosa all’estrema destra, anche solo simbolicamente». In questi spasmi di dialogo, le pratiche di autoboicottaggio degli stessi ebrei per Jacobson sono assolutamente inutili, «soprattutto quelle degli intellettuali e dei giovani inglesi che non sanno nulla di storia».
Ecco, la storia. Per evitare di farla riscrivere in peggio, il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici con una lettera a Repubblica ha innescato il dibattito politico su una potenziale legge antinegazionista. Che non trova d’accordo l’ebreo Jacobson: «Sarebbe assolutamente controproducente in una società libera e darebbe il fianco a chi si scaglia contro gli “ebrei cospiratori”. I negazionisti bisogna ridicolizzarli, sconfessarli con i fatti, ma non si può negar loro la parola». Così come non si possono negare le barzellette sugli ebrei, recitate anche dal premier Berlusconi: «Guardi, per noi è fondamentale scherzare sulle nostre tragedie, soprattutto quelle più crudeli. Ma le barzellette di Berlusconi non sono così spiritose. Le nostre sono molto meglio. Berlusconi dovrebbe assumermi se vuole davvero far ridere la gente».

Antonello Guerrera
da Il Riformista, 22/10/10